Il principio del Vendée Globe è semplice: un giro del mondo in solitario, senza sosta e senza assistenza. In otto edizioni, 165 skipper hanno preso il via dell’evento e solo 88 di loro lo hanno portato a termine. Molti di più hanno conquistato l’Everest o sono stati lanciati nello spazio. Per questo il Vendée Globe è un’avventura con la A maiuscola. Ma come dice Philippe Jeantot, che ha lanciato l’evento nel 1989, “il fatto che si tratti di una competizione, aggiunge un’ulteriore fattore, perché oltre alla vittoria sugli elementi, è necessario fare meglio rispetto agli altri.”
Per raggiungere questo obiettivo, per fare un giro del mondo in solitario, senza assistenza e senza scalo, in competizione con altri skipper, è necessario superare costantemente sè stessi, spingere i propri limiti. Proprio alla continua ricerca di nuovi limiti, Giancarlo è pronto per la sfida. Una sfida che prepara instancabilmente da anni e che oggi dà un nuovo significato alla sua vita.
“Essere al via di questa nona edizione dà un nuovo significato a tutte le cose che ho fatto da quando avevo 14 anni. Sono sempre stato pienamente coinvolto in tutto ciò che ho fatto, in particolare nello sport”, spiega Giancarlo che ha praticato boxe e altri sport, sempre con grande impegno. Restare sempre in un’ottica positiva, chiedere molto a sé stesso, ma sapendosi ascoltare, affrontando le cose fino in fondo … è così che lavora Giancarlo, che si sforza di superare i suoi limiti ogni giorno.
C’è una domanda che Giancarlo continua a farsi: “È questo il meglio che posso fare?”. Si tratta di sapere quello che vuoi fare e come vuoi arrivare a farlo.
“In un progetto come un Vendée Globe, non si tratta di controllare tutto, ma di pensare chiaramente alle azioni da intraprendere per raggiungere l’obiettivo. Secondo me, l’80% del progetto si gioca a terra. Più hai ottimizzato la tua barca, più ti sei allenato fisicamente e più hai lavorato sulla meteo, più riduci al minimo il numero di problemi che dovrai affrontare in mare, problemi che sicuramente non mancheranno”, dice lo skipper di Prysmian Group che ha cercato di prepararsi al meglio per il suo primo giro del mondo, un’impresa che naturalmente implica un gran numero di incognite.
Parametro C
“Quando parti per qualcosa che non conosci, è difficile prevedere e immaginare tutto. Un giro del mondo in solitario, che sia il primo, il secondo, il terzo o più, ha sempre qualche incertezza perché la situazione è sempre diversa, fosse solo per le condizioni meteo. Per questo penso che la chiave di un progetto del genere sia, soprattutto, l’affidabilità del mezzo”, precisa Giancarlo che insieme al suo team si è preso la massima cura dell’IMOCA recuperato un anno e mezzo fa.
“Una buona preparazione della barca e chiare scelte tecniche sono essenziali perché come ho detto, rappresentano una parte molto importante della prestazione o, per lo meno, delle sue possibilità di raggiungere i propri obiettivi. Ma questo non basta. La fortuna è un altro elemento essenziale per il successo di un progetto Vendée Globe. Se non è con te, è difficile. Nettuno deve decidere di lasciarti passare. Da parte mia, sono piuttosto fatalista. So di avere fatto tutto quanto in mio possesso per realizzare le mie ambizioni, ma so anche che non ho il controllo su tutto”, continua Giancarlo che, in avvicinamento all’inizio di questo Vendée Globe, previsto l’8 novembre alle 13:02 nella baia de Les Sables d’Olonne, trova un senso in tutto ciò che ha intrapreso negli ultimi anni.
“I miei studi, i miei viaggi, le diverse lingue che parlo e tutte le esperienze che ho maturato sin dall’adolescenza, oggi combaciano. In passato, a volte ho avuto la sensazione di fare delle cose senza sapere veramente perché, ma oggi mi rendo conto che, senza rendermene conto, avevo messo tutto questo in una busta chiamata “Vendée Globe”.
Con Giancarlo Pedote il forse non esiste. Il 15 luglio, appena terminata la Vendée Arctique Les Sables d’Olonne che l’ha tenuto in oceano per dieci giorni, mi ha detto che la settimana dopo mi avrebbe portato a navigare in Atlantico con il suo Prysmian Group, se avessi deciso di andare a trovarlo a Lorient, in Bretagna. Detto fatto, siamo usciti in barca giovedì 23 luglio.
Due giorni prima, mentre ero in viaggio da Roma a Lorient, ho ricevuto un messaggio sul cellulare che mi annunciava il programma definitivo dell’uscita: partenza alle 16:30 e rientro la mattina successiva alle 8:30. Facile immaginare la mia incredulità sapendo che avrei ricevuto addirittura il dono di una navigazione notturna. Ho subito inoltrato la notizia al mio amico Simon, perché l’emozione era troppo forte per non essere esternata. Però, ho commesso un’ingenuità, perché alla fine del mio messaggio a Simon, ho aggiunto: “Speriamo che accada sul serio, sarebbe davvero una figata navigare anche di notte”. Avessi conosciuto Giancarlo Pedote più di quanto non credo di conoscerlo già, non avrei avuto motivo di stare in ansia. Giovedì 23 luglio alle 16:30 abbiamo puntualmente lasciato la banchina e alle 8:30 di venerdì 24 abbiamo di nuovo ormeggiato a Lorient. Nelle 48 ore precedenti l’uscita, questo programma non è mai stato più argomento di riunione con il suo team.
Essere giornalista e fotografo freelance (indipendente e autonomo, per capirci meglio) di questi tempi ha i suoi svantaggi e vantaggi. Per parlare dei primi, il servizio o il reportage che sia te lo paghi di tasca tua: lo pensi, ci credi, prendi la tua attrezzatura, parti e vai fino in fondo. Per quel che riguarda i secondi, il progetto lo affronti con l’esperienza e la competenza acquisita nel tempo, con i dubbi e le certezze, sei il capo di te stesso e, nel bene e nel male, sei l’unico responsabile del risultato della tua iniziativa. Tutto sommato, riscontro delle similitudini di base tra il mio lavoro e quello, certamente più complesso, di un navigatore solitario che ha una campagna di regate in oceano. Per questo sono felice di avere deciso di andare a trovare Giancarlo Pedote a Lorient e di seguirlo un po’ nella sua attività dove, paradossalmente, le ore di navigazione sulla barca rappresentano la quota minore nell’agenda di un anno.
“Prendi il timone che devo entrare a controllare una cosa”. In un attimo, le mie mani non impugnano più una macchina fotografica, ma la barra di Prysmian Group. Non guardo più attraverso il mirino della reflex per trovare la fotografia migliore, ma osservo i filetti sul genoa per fare del mio meglio e non deludere Giancarlo Pedote che si fida, non so perché, di me. Con la coda dell’occhio lo vedo entrare e sparire nella cabina tutta nera-carbonio che sembra una navicella spaziale. Non mi pare vero di timonare l’Imoca 60 Prysmian Group. Non è che debba fare molto, sia ben chiaro. Pedote ha messo la barca in assetto, siamo di bolina con vento teso sui 18 nodi d’intensità e Prysmian Group viaggia che è una bellezza. Mi godo il momento.
So di impugnare una barca che, come altre della sua classe, sono abituato ad ammirare in fantastiche fotografie aeree mentre volano sul mare alzando baffi d’acqua enormi come aliscafi. Sono macchine da guerra e io ne sto timonando una. Prysmian Group è bilanciatissima, leggera al timone, sensibile. Se vedo i segnavento sulla vela spostarsi poggio oppure orzo un pelo e la prua si sposta immediatamente sull’orizzonte. Io non sono nessuno, timono raramente, sono pure meno di un velista della domenica, eppure ho la sensazione che sia tutto così semplice. Poi, certo, tra timonare Prysmian Group e timonarlo bene, c’è un abisso di mezzo. Comunque, grosse fesserie alla fine non ne combino, magari non la faccio viaggiare come si potrebbe, ma neanche la pianto al vento. Neppure la faccio sbattere sull’onda, leggermente formata, come otto anni prima Pedote mi ha rimproverato di fare quando mi ha lasciato timonare il suo 747, il primo Mini 6.50 con la prua tutta tonda della storia. Anche in quel caso eravamo nell’Atlantico di Lorient, ma a novembre, pochi giorni dopo la partenza del Vendée Globe del 2012 che ero andato a vedere.
La luce è fantastica, il prologo di un interminabile tramonto oceanico che scalda le ochette altrimenti bianche del mare increspato. Mi godo gli spruzzi in controluce che da prua si arrampicano sulla coperta e schiaffeggiano il genoa. Qualche rivolo d’acqua arriva fino in pozzetto bagnandoci i piedi. Un po’ teso lo sono, mi domando se da dentro la cabina Giancarlo abbia modo di sentire come sto conducendo la barca. Ovviamente sì. Dopo un po’ riappare e viene a riprendersi il timone. Non mi rimprovera di nulla, si vede che è felice dell’opportunità che mi ha concesso e che mi riconcederà un altro paio di volte durante la navigazione. La sua forma mentale, tuttavia, non gli impedisce di appuntarmi: “Devi navigare più stretto al vento per tenere la barca più piatta sull’acqua. Tu la porti un po’ troppo poggiata e sbandata, rischiando di farla andare di traverso”. Ecco, meglio ristabilire i ruoli a bordo, lui naviga, io fotografo.
Mi dedico a fotografare un po’ di paesaggio. “Che cielo pazzesco”, sottolinea Giancarlo. Così mi toglie il dubbio che mi porto dietro da quando siamo usciti: a portare una barca tanto difficile, soprattutto in regata, un navigatore solitario ha ancora il tempo di godersi il mare, che è poi l’elemento passionale da dove tutto inizia? “Io mi diverto sempre”, mi risponde Giancarlo.
L’uscita prevede bordi di bolina di un’ora in allontanamento dalla costa e poi di lasco per tornare verso Lorient. La calibrazione della strumentazione di bordo è un altro dei motivi di questa uscita e a bordo c’è un tecnico per raccogliere ed elaborare i dati. In qualche strambata Giancarlo si diverte con sano sadismo a fare girare le manovelle un po’ a tutti. Se al timone avevo strappato una sufficienza stiracchiata per benevolenza dello skipper, come grinder non passo l’esame. Porto a termine il compito, ma in troppo tempo e, soprattutto, finita la manovra mi servono cinque minuti di riposo in panchina. Quando è Giancarlo a far girare le manovelle il confronto è umiliante. Quando è a terra cura maniacalmente anche la preparazione atletica.
Un paio d’ore più tardi rispetto all’Italia cala la notte. Bisogna fare i turni di guardia, perché anche se siamo tra le 15 e le 20 miglia al largo, ci sono tanti pescherecci. Così, mi capita per due volte di stare un’ora da solo in pozzetto: la prima, da mezzanotte a l’una, la seconda dalle 3 alle 4 del mattino. Siamo tre giorni dopo la Luna nuova, le stelle si vedono benissimo, ma il mare è buio pesto e non si distingue la separazione con il cielo. Fa anche discretamente freddo, umido, ma sono vestito con la cerata e gli stivali in dotazione della barca e resisto. Là da solo in pozzetto, con la compagnia del pilota automatico, per un’ora faccio finta di essere Giancarlo Pedote nei mari del sud. Prysmian Group naviga veloce e io sto in piedi a centro barca con le mani sulla tuga. Stare in piedi senza tenersi è impossibile, soprattutto quando bisogna fare i passi laterali per andare a sbirciare anche sottovento e poi sopravvento. Cerco di spostarmi da dritta a sinistra e viceversa il più possibile, per rimanere sveglio e per tenermi caldo. Ogni tanto mi arriva qualche schizzo d’acqua. Per il resto, la prua bianca di Prysmian Group buca il nero della notte e ho la sensazione che il mondo finisca là, 15 metri davanti a me. Dal mio punto di osservazione, è una corsa alla cieca. Ogni tanto mi giro verso poppa, a guardare la scia della barca che è stupenda.
Prysmian Group parla tanto, è un concerto di suoni infiniti. Insomma, qualche momento di ansia lo devo gestire capendo che sarebbe inutile contrastarlo. Più che altro perché capisco che il momento di pausa, di silenzio, di distrazione, qua non esiste. Sapere di non potermelo permettere e, soprattutto, immaginando una vita senza poterselo permettere, mi procura angoscia. Questa riflessione mi suggestiona e si traduce in una ventina di minuti di mal di mare, fino a quando mi riprendo mangiando dell’ottimo riso cucinato da Pedote con la pentola a pressione. Nel corso di un cambio di turno, con Giancarlo affrontiamo l’argomento e lui mi rasserena dicendomi che una barca come Prysmian fa venire il mal di mare a chiunque le prime settimane. Lo credo, è un vero cavallo di razza e, prima di domarlo, è necessario che si addomestichi chi ci sta sopra.
“Questo è niente”, dico a Giancarlo. “Questo è niente” mi risponde lui. Mi riferisco alle condizioni della nostra uscita. 18-20 nodi di vento, mare leggermente formato, un po’ di freddo, buio, ma comunque interrotto dal lampo intermittente di qualche faro sulla costa o dalla luce di qualche nave in lontananza, alcuni spruzzi in faccia e pochi millimetri d’acqua in pozzetto di tanto in tanto. Questo è niente, mi rendo conto, rispetto a quello che Giancarlo Pedote e i suoi avversari affrontano in una regata e, ancora di più, durante un giro del mondo non-stop in solitario come il Vendée Globe al quale Pedote parteciperà quest’anno partendo domenica 8 novembre alle ore 13:02 da Les Sables d’Olonne, un po’ più a sud di Lorient, dove lui ha deciso di venire a vivere ormai una decina di anni fa per diventare un vero navigatore oceanico. Questo è niente rispetto alla vera solitudine, il vero freddo, la tempesta e tutto il resto. Ci tengo a far sapere a Giancarlo che pur non potendo mai conoscere nella mia vita quello che lui veramente affronta e vive in mare, questa uscita con lui su Prysmian Group quanto meno me lo fa un po’ immaginare, visualizzare. La trovo una cosa veramente affascinante e allo stesso tempo folle. Lo ammiro.
Il giorno dopo scendiamo la passerella che porta al pontile di Prysmian. Per via della bassa marea dall’alto vediamo tutte le barche ormeggiate a La Base di Lorient, tra cui i trimarani della classe Ultime, i Mini 6.50 come se piovessero, i Class 40 e, soprattutto, gli Imoca 60 dei team più forti. L’erba del vicino potrebbe sembrare più verde e, in alcuni casi, magari anche lo è, ma Giancarlo mi dice: “Io sono un uomo che vive felice. Sono arrivato ad avere un 60 piedi, nessuno mi ha regalato niente nel percorso affrontato fino a ora. Per realizzare questo progetto sono partito da lontano e i miei genitori non mi hanno mai dovuto dare nulla. Finalmente andrò a vedere come è questo Vendée Globe, per poi farne un altro. Prysmian Group è una barca bellissima, con la grafica tutta disegnata da mia moglie. Non posso chiedere di più”.
Nel viaggio di ritorno verso Roma ho in mente tante immagini dei quattro giorni passati a Lorient con Giancarlo Pedote e la sua famiglia senza un attimo di sosta. Provo anche a rifare ordine sulle immagini che ritroverò a casa quando scaricherò le schede della mia macchina fotografica e mi rendo conto di avere commesso un altro errore. Non ho scattato neanche un selfie di me e Giancarlo insieme su Prysmian Group durante la navigazione. Un po’ mi dispiace, ma non mi preoccupo. Non farò passare altri otto anni prima di andarlo a ritrovare a Lorient.
Il rumore dell’acqua che sbatte contro la barca, ascoltato dalla pancia della barca, è assordante. Si unisce a tanti altri rumori, colpi, strusci, scricchiolii, come il peggiore degli strumenti musicali di un’orchestra di musicisti che fanno a gara per chi disturba di più.
Con il tempo mi sono abituato a questi rumori. Mi parlano. Mi dicono se la barca sta bene, se le vele sono regolate bene.
Mi sono abituato a ignorare i rumori che possono ignorare e ascoltare solo gli altri.
Per fortuna, per sopravvivenza, altrimenti non potrei pensare, riflettere.
Questi IMOCA sono delle macchine da guerra, progettare per andare veloci.
Non gli importa se sei dentro di loro.
Sono al carteggio, che qui si fa con un computer. Qui dentro tutto è attaccato con viti, scretch, supporti. E anche io mi devo tenere.
Mi sono abituato anche a questo.
Per fortuna, per sopravvivenza.
Rotta a 154°. Il mare è mosso. Un flusso depressionario sta attraversando la nostra zona di navigazione. Litigano, il mare e le nuvole. E la barca se la ride, surfando, dimenticandosi che sono dentro di lei. Tanto lei è sicura. E lo sono anche io.
È una buona barca. Mi fido di lei.
Esco.
Il rumore dell’acqua che sbatte contro la barca, ascoltato fuori dalla pancia della barca, è freddo.
L’acqua si rompe in mille gocce che fanno male. Sono fredde, fa freddo.
Abbiamo scelto la nostra rotta, barca del mio cuore. Devo metterti in assetto a dovere. Ti cambio vela. Devo fare in fretta. I passaggi sono ben organizzati nella mia mente: un elenco da percorrere con forza e velocità.
Con questa nuova configurazione di vele saremo più efficaci
I miei figli mi aspettano, vai veloce, vai veloce!
Guardo gli strumenti: 29 nodi. Veloci, ma non abbastanza per rincorrere il tempo e arrivare alla meta, che sembra non arrivare mai, nonostante la velocità o l’illusione di essa.
La mia mente vorrebbe che il tempo passasse veloce e eccitata inizia ad andare veloce, supera il presente, si proietta nel futuro… vedo il mio rientro al pontile, vedo l’abbraccio alla mia famiglia, vedo il silenzio.
Mi distraggo, un errore: il tempo guadagnato adesso lo devo restituire.
Piano mente, rallenta.
Devo tornare al presente.
Un respiro.
Un altro respiro.
Riordino il pozzetto, controllo che tutto sia in ordine: su queste imbarcazioni gli errori si pagano cari.
Il corpo va deciso, insieme alla mente, perfettamente sul ritmo di un rock-and-roll danzato con la barca. Né troppo veloce, né troppo lento. E il tempo è riempito perfettamente.
Ora sono qui. Sono nel qui e ora.
Sono in barca, sto facendo una regata. I miei figli qui, ora. Loro sono nel presente, Io sono nel presente.
Il futuro (o la mia immaginazione di esso) è qui, ora, attraverso aspettative che così si trasformano in motivazioni da utilizzare qui, ora.
Il passato è qui, ora.
Sono immobile. Non posso muovermi. Se mi muovo il mio corpo percepisce il calore. Abbiamo studiato a lungo un sistema per riuscire a riposare bene: un puff impermeabile pieno di biglie di polistirolo, riesco ad adattarla ai minuscoli spazi di questo Mini.
La mia prima barca… Che adesso non avanza. È immobile come me. Aspettiamo il vento, una nuvola che lo generi. Tutto è pronto per sfruttare il primo alito di vento.
Ma il vento non arriva.
In questa immobilità la mente si ribella. Vorrebbe che il tempo passasse veloce, vorrebbe spingere la barca. Immagina gli altri che vanno veloci. Io non so dove siano gli altri, sul Mini non si può sapere. Non so se gli altri vanno veloci. So che io sono lento. La barca è lenta.
Frustrata, la mente inizia a indugiare su vecchi pensieri, vecchie emozioni… si fa catturare dal passato.
Non sono più qui.
Sono in biblioteca a scrivere il mio primo libro. Scrivo, leggo, correggo.. sperando di poter un giorno avere una barca e uno sponsor, questa barca e questo sponsor, che mi permettono di navigare veloce.
Sono sul Jacaranda a togliere il gasolio dalla sala macchine, sentendo i rumori di una barca che non è mia e di cui devo prendermi cura per ancora 5 giorni, sognando di poter un giorno avere una barca, da regata, e poter navigare veloce.
Sono a Le Havre. Sto pulendo il ponte di un open 50, alzo la testa e vedo attorno a me altre barche che tra 6 giorni partiranno per il Brasile. E sogno un giorno di essere tra loro, e poter navigare veloce.
La vita che mi ha portato qui, spinta del desiderio di poter navigare veloce, adesso mi guarda beffarda immobile ad aspettare con la mente che corre veloce nelle valli del passato.
Un rumore.
La vela parla, mi chiama: c’è del vento !
Mi porta al presente, mi lancia una cima e mi trascina di nuovo qui, ora. Qui c’è qualcosa. Ora c’è qualcosa.
Esco, regolo la randa e la vela di prua.
Mi guardo intorno.
Qui c’è qualcosa, ora c’è qualcosa. L’oceano, l’orizzonte.
Ora sono qui. Sono qui, ora.
Sono in barca, sto facendo una regata. I libri sono nel mio presente, il Jacaranda è nel presente, il mio passato è nel presente. Qui, ora.
Il presente è tutto ciò che abbiamo. Il passato non esiste, se non nelle esperienze fatte.
Il futuro non esiste, se non nella motivazione.
Troppo spesso la mente vuole comandare il ritmo del tempo: vuole farlo andare veloce per far diventare il presente, passato; vuole farlo andare lento per NON far diventare il presente, passato. Vuole vivere il futuro, non vuole viverlo…
Non è possibile fare andare il tempo più o meno veloce. Puoi solo fare più o meno cose in uno stesso tempo. Ma in entrambi i casi il rischio è quello di perdersi il qui, ora perché catturati dal ricordo del passato o persi nell’illusione del futuro.
È un peccato, perché a dispetto di ciò che crede la nostra mente, o ciò che vuole farci credere, tutto vive qui, ora.
Il 27 maggio, Prysmian Group è tornata in mare: il varo di una barca, anche se non è il primo, è sempre un momento emozionante ed importante da condividere. Abbiamo invitato i giornalisti a porre delle domande a Giancarlo con lo spirito “Come se foste qui..”.
Sette giornalisti hanno aderito all’iniziativa ed è stato come se fossero qui: ecco le risposte con una panoramica sulle emozioni del varo, le curiosità della nuova regata che partirà a luglio e i pensieri sulla futura partenza del Vendée Globe.
Il varo
C’è qualcosa su cui avreste voluto avere più tempo di lavorare prima del varo? (Alberto Morici – SailBitz)
Il cantiere invernale a causa del lockdown è stato prolungato e questo ci ha permesso di completare anche la gran parte dei lavori previsti per l’estate. Mi sento pronto per il varo, sono contento di ricominciare a navigare e testare tutto ciò che è stato fatto nel programma invernale. Ora la nostra priorità è andare in mare e provare tutto.
Quali sono le modifiche più importanti apportate allo scafo e all’attrezzatura durante questo lungo periodo in cantiere? (Giulio Guazzini – Rai)
A bordo di Prysmian Group durante il cantiere invernale del 2020 ci siamo concentrati molto sull’affidabilità della barca. Non abbiamo lavorato su upgrade ma abbiamo cercato di migliorare e rendere il più affidabile possibile tutto ciò che era già installato a bordo, cercando di adattarlo al mio stile di navigazione.
Per me un primo Vendée Globe su una barca a foil è già una grande sfida: queste barche sono in grado di esprimere delle velocità impressionanti. Non ho creduto necessario aumentare la potenzialità della nostra barca, ma abbiamo cercato di sviluppare al meglio ciò che già può esprimere. Il cantiere era finalizzato a rendere la barca pronta per il Vendée Globe 2020.
Prysmian Group è una barca a foil di prima generazione e ha partecipato al Vendée Globe 2016 con altre 6 barche a foil. In questa edizione dopo quattro anni ci saranno otto, nove barche dotate di foil di seconda generazione con dei tip molto più importanti e molto più sottili. Gli IMOCA di nuova generazione possono esprimere delle velocità incredibili come abbiamo visto nei video circolati in questi giorni sul web. Inoltre, ci sono altre cinque barche, progettate prima del 2016 che hanno messo in opera dei foil di seconda generazione.
Oggi sulla carta abbiamo una barca che può situarsi a metà classifica per le performance ma chiaramente il nostro punto forte è l’affidabilità. Prysmian Group è una barca che ha già partecipato ad un giro del mondo, una barca robusta e sicura e non mi preoccupano i 30 kg in più di peso. Per quanto mi riguarda il Vendée Globe prima di tutto è un’avventura ancor prima che una regata. Pur essendo competitivo la mia priorità è la sicurezza dell’imbarcazione che deve superare un giro del mondo. I nuovi progetti dovranno dimostrare la loro affidabilità mentre la nostra imbarcazione l’ha già provata. Questo sarà un fattore che mi permetterà di essere confidente e cercherò di esprimere le potenzialità della barca al meglio.
Ogni volta che si vara una barca le emozioni di un marinaio sono diverse si pensa ai lavori fatti, al mare che l’attende, alle imprese da vivere insieme barca e velista. Quali sono le tue personalissime emozioni per questo varo dopo oltre due mesi di lockdown? (Fabio Colivicchi – Saily)
Dopo questi mesi di confinamento è una grande emozione tornare in mare e soprattutto riscoprire che ciò che abbiamo avuto gratis, alla normale portata tutti i giorni è qualcosa di estremamente prezioso. Sarei disposto a pagare a peso d’oro per avere sempre la possibilità di vivere il mare che oggi per fortuna è tornato accessibile a tutti, seppur con qualche restrizione.
Dentro di me c’è un grande senso di pace e di felicità nel vedere che il progetto, nonostante tutti i problemi che il Coronavirus ha inflitto alla società ha resistito e può riprendere il suo cammino verso il Vendée Globe. Il mio è anche un sentimento di gratitudine e gioia per sentirmi progredire verso un momento importantissimo della mia carriera come il primo Vendée Globe. Il mio sguardo adesso è completamente proiettato al presente e anche al futuro per cercare di fare un’ottima gestione del tempo in funzione della data dell’8 novembre, data della prevista partenza per il Vendée Globe
Ripensando al periodo di confinamento causato dall’epidemia di COVID-19
Come ha reagito il mondo della vela oceanica a questo periodo della pandemia, come si sono mobilitati i navigatori, se l’hanno fatto? (Fabio Colivicchi – Saily)
La vela oceanica ha reagito al lockdown cercando di lavorare in equipe ridotte per ssicurare alle persone il distanziamento sociale. Noi siamo stati i primi ad interrompere i lavori per un senso di solidarietà con il mio paese, l’Italia. Durante il confinamento ho continuato a lavorare a pieno regime un po’ come tutti i giorni ma allenandomi a casa. Ho lavorato al computer su dossier organizzativi che riguardavano i materiali di rispetto, la cambusa, i vestiti e altri punti chiave.
Ho continuato a studiare in modo assiduo meteorologia, strategia e software di navigazione. Non mi sono mai sentito bloccato o nella condizione di perdere tempo piuttosto ho cercato di riorganizzare la vita in funzione dello scenario dato e ottimizzare il tempo e le condizioni a disposizione nel migliore dei modi.
Come pensi il tuo sponsor viva il suo impegno in un momento come quello attuale: il mantenere un impegno per una sfida planetaria come il Vendée Globe viene percepito come un rischio eccessivo o come una forma di fedeltà testimonial del brand che dà valore all’etica aziendale? (Giuliano Luzzatto- Press Mare)
Il Coronavirus con tutti gli effetti del lockdown ha sorpreso tutti dagli organizzatori delle regate, agli sponsor, agli skipper. Tutti i nostri planning e le date di scadenza sono stati modificati ma noi abbiamo già fatto 95 scalini sui 100 da percorrere. Quindi l’idea di fermarsi a questo punto avrebbe lasciato un senso di incompiuto per tutti.
Come vedo di concerto con tutti gli altri sponsor che accompagnano i nostri progetti anche il nostro sponsor e di questo ne sono molto fiero e lo ringrazio infinitamente ha deciso di supportarmi in questo momento di difficoltà e permettermi di portare i suoi colori su una linea di partenza così importante come quella del Vendée Globe 2020.
La nuova regata: la Vendée Articque
Quali occasioni di confronto ci saranno tra le barche e gli skipper prima del via al giro del mondo in solitario a novembre? (Giulio Guazzini – Rai)
Prima del Vendée Globe ci sarà una regata che partirà il 4 luglio con un percorso da Les Sables d’Olonne con waypoint al Circolo Polare Artico tra Islanda e Groenlandia, Azzorre e ritorno a Les Sables. Un percorso di circa 3500 miglia in cui dovremo affrontare dei cicli depressionari importanti e potremo capire se abbiamo lavorato bene nel cantiere invernale.
La mia domanda riguarda la nuova regata, la Vendée Artique – Les Sables d’Olonne. Mi piacerebbe sapere un tuo commento riguardo alla rotta: le difficoltà e quali saranno le scelte più importanti e i passaggi chiave della regata. (Alberto Mariotti – Vela e Motore)
È una rotta nuova che trovo molto interessante ed affascinante perché non abbiamo mai disputato in cui si naviga così a nord, fino alla Groenlandia. Credo che i passaggi chiave saranno i flussi depressionari che normalmente arrivano a sud dell’Islanda piuttosto scavati, importanti.
La gestione delle depressioni che incontreremo quando saremo in Groenlandia e dovremo scendere sarà un passaggio a livello molto importante della regata di cui dovremo tenere conto per esprimere al meglio le nostre possibilità. In ogni caso sarà una rotta tutta da scoprire e sarà interessante fare un punto della situazione al termine di questa regata estiva e fresca, come la definirei.
Pensando al Vendée Globe…
Giancarlo siamo arrivati al primo passo prima del grande salto: anche se il programma è stato sballato da cause di forza maggiore, ti senti pronto? (Alberto Morici – Sailbitz)
Indubbiamente il programma di quest’anno è stato completamente stravolto a causa del lockdown. Credo che non si è mai pronti per un giro del mondo, poiché c’è sempre qualcosa da migliorare o imparare. Ad un certo punto però bisogna responsabilizzarsi su quelle che sono le proprie competenze e sentirsi pronti.
È importante avere fiducia nelle proprie capacità e sapere che qualsiasi cosa accadrà nel cammino avremo le competenze tecniche e la forza mentale adatta per risolvere la situazione. Indubbiamente c’è sempre qualche punto su cui si vorrebbe migliorare e si vorrebbe essere più performanti. Comunque a cinque mesi dalla partenza del Vendée Globe posso dire che mi sento nei timing, pronto per affrontare questa grande avventura.
Questo stop agli allenamenti e alle prove in mare hanno in qualche modo penalizzato Giancarlo nel debutto al Vendée Globe rispetto a chi l’ha già fatto e sa cosa aspettarsi? (Giuliano Luttazzo – Press Mare)
Il lockdown ha penalizzato il team Prysmian come è accaduto a tutti gli altri team. La nostra strategia è stata di non pensare a quello stop forzato come un handicap ma come un’opportunità per riflettere con più calma. L’accesso ai cantieri era quasi proibito o consentito ad una persona alla volta, così ci siamo fermati a riflettere su molti dossier con più tempo del previsto. Abbiamo tratto benefici in questo genere di scambi.
Lo stop c’è stato per me come per tutti ma questo rafforza ancora la mia idea di navigare semplice, come si dice qui in Francia, commele bon marin. Parto con questo spirito per il Venée Globe che sarà un’avventura molto lunga più che una regata. Cercare di portare una barca a compiere il giro del mondo con meno danni possibili sarà un grande challenge ed è la nostra priorità. Per essere piazzati bene in classifica, bisogna per prima cosa riuscire a terminare la regata che non è un risultato ovvio. Le imbarcazioni sono sottoposte a importanti velocità e il percorso è piuttosto complesso soprattutto per chi lo fa per la prima volta come me.
Qual è il tratto di mare che più temi e quale ti affascina di più del Vendée Globe che dal sogno tenacemente inseguito è diventato realtà? (Francesca Lodigiani – Il messaggero)
Il tratto di mare del Vendée Globe che mi impensierisce di più è l’Oceano Indiano, sarà il primo nuovo oceano che incontrerò, a parte l’Atlantico sud che ho potuto sperimentare in diverse regate. In particolare ci sono dei tratti come quello del Cap des Aiguilles, con delle correnti molto forti a sud di Capo di Buona Speranza. In quella zona si può generare uno stato del mare molto complesso con onde definite Les vagues scélératesche sono molto complicate da affrontare in navigazione.
Per quanto riguarda il tratto che più mi affascina è la grande traversata del Pacifico, dalla Nuova Zelanda fino a Capo Horn che sarà un tratto di mare che un po’ sognano tutti i veri marinai come prova. Incontreremo grandi centri depressionari che mi spingeranno fino a Capo Horn per poi risalire nell’Atlantico meridionale nella rotta per tornare a casa.
Malingri, Bianchetti, De Gregorio, Di Benedetto, quattro velisti completamente diversi tra loro nel carattere e nelle motivazioni. Anche tu sei unico e completamente diverso per formazione e percorso ma c’è qualcosa non tecnica che ruberesti a qualcuno di loro? (Roberto Imbastaro – ItaliaVela)
Indubbiamente Malingri, Bianchetti, De Gregorio e Di Benedetto sono dei grandissimi velisti di cui nutro un grande rispetto. Se dovessi scegliere a chi rubare la valigetta preferirei Alessandro Di Benedetto per come mi ha impressionato sulla pianificazione riuscita del suo giro del mondo sul Mini 6,50. Ha dato grande prova di carattere marinaresco anche nella preparazione del suo progetto Vendée Globe, per come l’ha gestito a dispetto delle risorse che erano in suo possesso. Credo che sia una grande persona e un gran marinaio e se potessi mettere un po’ di Aleessandro di Benedetto nella valigetta prima di partire per il Vendée Globe lo farei con molto piacere.
Vivere in solitudine viene spesso interpretato nella connotazione negativa ma l’esempio degli sportivi e Giancarlo ci insegnano a ricercare l’occasione intrinseca, oltre il disagio.
La solitudine, dal latino solitudo, indica il sentimento umano di sentirsi solo o voler essere solo, in questo caso si oppone alla socievolezza. Nel mondo anglosassone, di solito parco di sinonimi, invece in questo caso si distingue bene la connotazione positiva, in solitude e quella negativa in loneliness. L’equilibro tra i due poli opposti è la ricerca di tutta una vita e molti fattori contribuiscono a farci interpretare il vivere in solitudine in maniera differente.
Un fattore potrebbe essere l’età: un giovane vivrà con entusiasmo un viaggio da solo e sarà per lui una prova per costruire la propria autostima. Nei riti di iniziazione tribali spesso i giovani per entrare in età adulta devono superare un periodo isolati per dimostrare di riuscire a sopravvivere. Ancora oggi il passaggio dalla casa familiare ad un’altra residenza per motivi di studio, di lavoro o di nuovi legami affettivi è vissuto come un passaggio chiave nella vita di una persona. Al contrario, per una persona anziana ritrovarsi sola potrebbe essere traumatico.
Un altro elemento da considerare è il tempo: percepiamo diversamente la solitudine se costituisce un momento o se diventa una situazione prolungata. Nella normale quotidianità viviamo e ricerchiamo dei momenti di solitudine, ad esempio per riflettere su qualcosa, per fare yoga o per pregare. Gli artisti e i creativi si isolano per dipingere, scrivere nel silenzio e nella tranquillità del vivere in solitudine. Sono piccoli momenti in cui si apprezza la solitudine come occasione di introspezione e creatività per poi tornare alla normale socialità.
Una solitudine prolungata può essere cercata e voluta, come quella dei monaci che ricercano un contatto con la divinità. Ma vivere in solitudine può essere una situazione che si subisce a causa di una malattia, della perdita di una persona cara o della prigionia.
La solitudine degli sportivi
Approfondiamo degli esempi di solitude che ci vengono dagli sportivi, per aiutare anche chi vive la solitudine negativamente a mitigare questo sentimento.
Per le imprese in montagna, un grande esempio è Walter Bonatti alpinista ed esploratore che si cimentò in memorabili scalate in solitaria, come la conquista della parete nord del Cervino nel 1965. In mare ricordiamo Alessandro di Benedetto che nel 2009 intraprende il giro del mondo in solitario a bordo di un mini in 268 giorni.
Per citare solo due esempi tra le migliaia di sportivi che hanno tentato imprese che sono divenute ancora più memorabili per il fattore solitudine. L’impresa sportiva, nella natura imprevedibile, senza aiuti, contando solo sulle proprie forze è anche lo scenario della vela in solitaria e in particolare del Vendee Globe.
Giancarlo è stato intervistato su GQ Italia da Sara Canali e ha parlato proprio del suo mestiere di navigatore solitario e del suo progetto per il Vendee Globe. Lo skipper di Prysmian Group ci spiega come affronta la quarantena e come per lui vivere in solitudine sia da sempre nella sua indole.
Come mai hai intrapreso, nella tua carriera, la strada della vela in solitario e che cosa ci trovi in questa voglia di viaggiare da solo?
La solitudine è parte del mio DNA: fin da bambino mi attirava il fatto di stare da solo. Credo sia una caratteristica venuta al mondo insieme a me, insieme al mio corpo fisico. Per esempio, nel periodo universitario sentivo il bisogno di viaggiare per conoscere il mondo ma non potevo immaginare di viaggiare in compagnia. Amavo partire da solo e vivere in solitudine il mio viaggio.
Penso che restando da soli si abbia la possibilità di ascoltarsi meglio; al contrario, circondati da più persone e in un contesto di vita frenetica come la nostra, è più difficile poterlo fare. A me sono sempre piaciuti i momenti di introspezione, di silenzio, momenti in cui è possibile fare un’analisi della propria vita. Sono occasioni in cui è possibile chiedersi se siamo davvero felici o no, dove vorremmo essere in quel momento e perché, ma anche se siamo contenti di quello che stiamo facendo; queste sono le domande che mi sono sempre posto. È per questa mia indole solitaria che ho la tendenza naturale a prediligere gli sport individuali, anziché quelli di squadra.
Questo spirito mi ha spinto verso la decisione di provare a navigare in solitario. Inizialmente come esperimento, per poi scoprire che era lo sport che mi veniva più naturale, in cui mi sentivo più a mio agio. Ho una predilezione per la navigazione solitaria perché si adatta molto alla mia personalità ma non sono un essere asociale. Mi piace vivere in solitudine, ma mi piace anche condividere e navigare in gruppo con altre persone, infatti ho fatto anche l’istruttore di vela.
Potresti dare qualche consiglio a chi questo periodo particolare di quarantena lo sta vivendo da solo? Potremmo paragonare questa situazione ad una navigazione in solitario… per prepararti alle tue traversate, fai un allenamento per vivere in solitudine? Esiste una strategia per riuscire a sopravvivere a questa situazione che a volte fa sentire emotivamente sulle montagne russe?
Dover vivere in solitudine e confinamento a causa dell’epidemia in corso, non è una situazione cercata da nessuno, né tantomeno prevista. Però oggi questa è la realtà e come tutte le realtà va affrontata: per quanto noi desideriamo di essere altrove, non possiamo.
Non conosco un allenamento alla solitudine: la chiave per me è ritrovarsi spesso in una situazione per sentirsi allenati, preparati ad essa.
Purtroppo, però, non possiamo cambiare questa situazione, per cui è necessario interiorizzarla e cercare un modo per adattarci affinché questa esperienza abbiamo meno conseguenze negative possibili. Credo che in realtà, dietro tutte le situazioni che noi riteniamo sfavorevoli o magari non particolarmente piacevoli, si nasconda sempre un’occasione.
Non è mai tutto nero: c’è sempre un’occasione, che magari è difficile da cogliere, però è lì. L’esperienza che stiamo vivendo, ci può permettere di uscire dal modus vivendi a cui siamo stati abituati fino ad oggi. La quantità di cose da fare ad un ritmo incalzante non ci dà la possibilità di fermarci un attimo a chiederci: sono contento? La mia economia familiare magari va bene, la mia casa è comoda ma io come mi sento, io sono contento? Se non sono contento perché e che cosa posso fare per cambiare ciò che non mi rende contento? Ovviamente non dobbiamo focalizzarci sul momento presente, sui disagi che viviamo in questo particolare momento e che non possiamo cambiare. Si tratta di riflettere sulla vita in generale.
Trasformare un handicap in vantaggio
Ma io credo che questa sia una riflessione che dovrebbe andare ancora più in profondità. A mio avviso, quanto più una persona è tranquilla e serena dentro di sé, quanto meno è impattato da un agente esterno come questo che ci sta coinvolgendo tutti. Se una persona è perturbata di per sé, nel suo quotidiano, questa situazione di solitudine forzata diventa un catalizzatore. Se al contrario una persona vive in uno status normale di quiete, se ha trovato la sua felicità, vivere in solitudine la colpisce molto meno.
Spero che questa situazione possa permettere a tanti di riflettere per poter cambiare abitudini consolidate ma non sempre positive. Osservando, possiamo ad esempio accorgerci che dobbiamo prenderci di più cura di noi stessi, oppure che dobbiamo curare le relazioni umane intorno a noi. Magari abbiamo l’opportunità di riflettere per trenta minuti in più, e mentre beviamo un caffè scopriamo che dovremmo chiamare degli amici cari che avevamo trascurato. Ognuno deve lavorare sui suoi fronti.
Credo che una frase che possa farci riflettere molto e spronarci sia: trasformare un handicap in vantaggio. Questa situazione esiste, è reale: cerchiamo di trovare in questo nero quanto più bianco possibile; trasformiamo la situazione a nostro vantaggio.
Per metterla un po’ sul lato comico, ti sei mai ritrovato dopo tanti giorni di navigazione ad avere il tuo Signor Wilson? A parlare con un oggetto, ad aver bisogno di parlare con qualcuno e non avere nessuno, come hai gestito la situazione?
No onestamente non mi sono mai trovato un Signor Wilson, come accade al protagonista del film “Cast Away”. Gestisco una navigazione in solitaria come una lunga surfata interminabile. È un immersione totale nei tuoi sensi, sei completamente avviluppato da tutto questo mondo esterno che è semplicemente mare, cielo, sole, stelle.Tutti questi elementi naturali si ripetono e in questo sfondo costante ci sono i pensieri, che sono continui. Da un lato sono molto impegnato a manovrare la barca e a prendere delle scelte; questo occupa l’80-90% del mio tempo. Nel 10% del tempo restante ho modo di riflettere e di pensare a qualcosa della mia vita, ai miei amici. Per esempio a me piace pensare ai miei figli, a cosa staranno facendo e alla fine come sarà bello vederli quando tornerò a terra.
Io vivo così la mia navigazione in solitaria, non mi sono mai sentito completamente isolato a vivere in solitudine. Credo che il giorno in cui percepirò dentro di me sintomi di disagio, dovrò rimettere in discussione il fatto della navigazione in solitaria.
Naturalmente l’attitudine con cui si vive un periodo di confinamento dipende dalla persona che sei, dalla tua formazione. Tu hai già un’indole più solitaria di carattere, come dicevi prima, e nel tempo hai raggiunto una serenità. Ci sono persone invece che fanno più fatica a vivere in solitudine e si sono trovati a fronteggiare questa prova contro la loro volontà. Possiamo paragonare questo momento che stiamo vivendo a una traversata in barca a vela in solitario? Secondo te esiste un parallelismo che può aiutarci a stare a galla, per usare una metafora, in modo che la nostra barca non affondi?
Certo, se faccio un parallelismo è come quando il marinaio naviga nella depressione e affronta il brutto tempo, la pioggia e il freddo. Diversamente da come si potrebbe pensare, io navigando sulla mia barca non sto comodo: sono sempre umido e affronto molti disagi. In certi momenti non vedo l’ora che passi la depressione per ritrovare l’anticiclone e il sole, ma c’è un intervallo di tempo da vivere cercando la gioia e il piacere in piccole cose.
Seguendo questo parallelismo, potrei consigliare di darsi tanti piccoli obiettivi giornalieri. Bisogna cercare di fare delle cose che sono capaci di regalarci un sorriso o farci felici. Per esempio potremmo cucinarci un piatto che ci piace particolarmente, ritrovare un bel libro e rileggerlo o rintracciare degli amici.
In passato avevi consigliato di fare un esercizio: in cosa consiste e cosa ci suggerisci?
Consigliavo di trovare tutti i giorni almeno tre punti positivi della giornata per cui è valsa la pena di essere rimasti in casa. Ogni giorno di confinamento ci può regalare dei momenti positivi, ovviamente se si gode di buona salute. Io mi ritengo fortunato, sto bene fisicamente e psicologicamente e sono a casa con la mia famiglia.
Penso spesso alle persone che in questo momento non stanno bene o che hanno molte preoccupazioni. Queste persone a mio parere affrontano un’altra lotta, un’altra battaglia in cui bisogna solo stringere i denti e tenere duro. Penso ai medici o a tutto il personale paramedico che è obbligato a combattere in prima linea. A tutte le persone che non possono tirarsi fuori dal sistema perché abbiamo bisogno di loro per continuare a poter vivere nelle nostre case. Penso a chi lavora nei supermercati o a chi non viene considerato in questo momento ma prende dei rischi e vorrebbe restare a casa. Noi a mio parere siamo già fortunati e privilegiati a essere in salute e non dover essere sul fronte a lottare.
Momenti belli anche in solitudine
Ogni giornata vissuta in solitudine può regalarci un momento bello. Ad esempio a me ieri è capitato di avere il tempo di mettermi a guardare il sole per cinque minuti di fila. Io ho dei ritmi differenti nella mia vita normale che è fatta di mille decisioni e scadenze continue. Per me è un lusso prendermi un momento di relax, stare cinque minuti con il viso rivolto verso il sole e ricaricarmi di energia. La giornata di ieri mi ha regalato anche questo piccolo momento di gioia e riposo. Domani forse avrò il tempo di aprire un cassetto per scoprire una cosa vecchia e dimenticata che però mi regalerà un sorriso. Durante la quarantena è il momento di coltivare questi piccoli momenti senza dimenticarci della situazione di emergenza.
Mio nonno a 19 anni è stato allontanato da casa: gli hanno dato un fucile ed è partito per combattere in guerra. Oggi, se stiamo bene in salute e non dobbiamo affrontare gravi problemi economici, siamo lontani da questo tipo di sacrificio. Dobbiamo cercare di alleggerire lo sforzo che ci è richiesto nel confinamento a causa della quarantena. Pensare ai sacrifici che i nostri antenati hanno vissuto in passato mi aiuta a razionalizzare e ad avere uno sguardo positivo sul presente.
A novembre partirai per una delle regate più estreme, il Vendee Globe detto l’Everest dei mari, senza assistenza e senza scalo. Partirai da Les Sables d’Olonne, in Francia per ritornare dopo una circumnavigazione del globo allo stesso punto. Il record di percorrenza è di 74 giorni e per te sarà la prima volta che partecipi: come pensi sarà e quali aspettative hai?
Nella mia carriera di velista è un grande traguardo poter fare il giro del mondo, ma cerco di non avere aspettative. L’aspettativa presuppone uno schema che alla fine porta spesso una delusione perché la vita non va mai come previsto. Questa è una delle mie piccole realtà quotidiane: faccio un planning ideale della settimana e poi la settimana non va come mi ero immaginato. A volte arrivano buone sorprese, altre volte cattive sorprese: per questo è inutile farsi delle aspettative. Mi preparo al Vendee Globe con impegno e serietà, perché la sfida che dovrò vivere in solitudine è importante.
Lavoro molto sulla preparazione fisica e mentale e cercherò di fare il mio meglio e di dare il massimo come ho sempre fatto. La mia idea è di avere meno schemi possibili e questo pensiero potrebbe aiutare anche chi vive questo momento con difficoltà. Non abbiamo deciso di vivere in solitudine, chiusi in casa, con un’emergenza sanitaria che attenta alla nostra salute. Viviamo il presente con serenità pensando che il mondo ripartirà, si creeranno nuove occasioni e dovremo rimboccarci le maniche e saperle cogliere. Siamo usciti dalla zona di confort per entrare nella zona di non comfort e ne siamo consapevoli. Ma dobbiamo ricordarci anche, che siamo tutti insieme in questa situazione.
Anche nelle tue navigazioni sperimenti condizioni dure e non è facile viaggiare e vivere in solitudine ma questo ti permette di provare esperienze incredibili. A volte dobbiamo percorrere strade non sempre battute, pericolose e che magari fanno paura, ma che possono dare una prospettiva diversa del mondo. Ad esempio che cieli stellati vedi quando stai navigando da solo sulla tua barca, li avresti mai visti nella vita se non facessi questo mestiere?
Sicuramente no, sono consapevole dello sforzo che mi costa ma anche delle esperienze straordinarie che posso vivere. Fare il giro del mondo a vela è un’esperienza molto dura e a volte si perde la motivazione. Si vive lo stesso isolamento che proviamo in quarantena solo in due metri quadrati di barca che si muove come una giostra volante. Si sbatte continuamente sulle onde ed è difficile fare una doccia o prepararsi un pasto caldo soddisfacente.
I ritmi di sonno sono sempre scombussolati e questo ha un impatto: infatti un altro consiglio che posso dare alle persone è dormire abbastanza. La mancanza di sonno può essere fondamentalmente una delle principali cause per cominciare a presentare segni di insoddisfazione o di nervosismo.
Una stellata la paghiamo con molto sforzo e alla fine i veri piaceri sono i piccoli ritorni alla normalità come sarà per tutti noi finita la quarantena e il vivere in solitudine.
Auguriamo a Giancarlo buon vento per il suo Vendee Globe e buon vento a tutti noi per superare questa regata che stiamo facendo tutti insieme. Tutti su una stessa barca, ognuno forse sulla sua barchetta individuale che se poi le guardi dall’alto sono una grande barca.
Grazie, credo che la strada sia non mollare, stringere i denti e prima di abbandonare la guerra essere veramente certi di aver dato il massimo.
Il progetto Vendee Globe di Giancarlo si basa sul concetto di #4PEOPLE, un valore condiviso con gli sponsor Prysmian Group e Electriciens sans frontiéres. Questo concetto si riassume bene nell’affermazione di Hervé Gouyet, presidente di Electriciens sans frontières (Elettrici senza frontiere in Italia). «Siamo tre attori in missione: condividere le nostre energie per aiutare gli altri», chi ha bisogno, ad avere accesso all’energia elettrica.
L’energia elettrica è una risorsa più importante di quello che normalmente siamo propensi ad ammettere: la continua disponibilità la rende scontata. Giancarlo ne conosce bene il valore, in navigazione ad esempio al Vendee Globe deve pensare di vivere a bordo in autonomia elettrica per tre mesi. Mentre noi ormai non ci accorgiamo più del valore della luce che la notte illumina le strade, dando sicurezza a chi le utilizza.
La corrente elettrica ci permette di utilizzare gli elettrodomestici ormai numerosi in tutte le case che ci aiutano in vari lavori. Alimenta i computer e i cellulari che ci permettono di lavorare o restare in contatto con i nostri cari. L’elettricità fa funzionare gli strumenti medici negli ambulatori e negli ospedali e serve per la sanificazione degli ambienti comuni. In questo periodo è più facile rendersi conto della sua utilità: basta pensare a quanto sia fondamentale l’energia elettrica per i tanti malati. Ma anche per tutti noi, quando restiamo a casa: per scaldarci ed alimentare la TV per distrarci.
La riflessione di Giancarlo
È la riflessione di partenza di Giancarlo che, confinato a casa come tutti in questo periodo, continua a prepararsi per il Vendee Globe. « Essere #4PEOPLE, per me e i miei sponsor, è innanzitutto essere solidali con le persone che hanno bisogno. Di energia e acqua potabile, obiettivo principale dell’ONG Electriciens sans frontières che Prysmian Group ha invitato a salire a bordo con noi in questa campagna Vendee Globe; ma anche bisogno di protezione. Tutti abbiamo bisogno di proteggerci e di proteggere i nostri cari, ogni giorno e ancor più in questo periodo. Periodo in cui protezione significa seguire le disposizioni e prendere tutte le precauzioni. Per questo, come già dichiarato, Io resto a casa. »
Il fatto di prendere coscienza, io resto a casa e devo farlo per il bene comune non è scontato. È un’esperienza nuova per quasi tutti: trovarsi a vivere in uno spazio ridotto, seppur il proprio, con una limitazione della propria libertà. Si aggiungono in più anche tante preoccupazioni per se stessi, per la propria salute, per i propri cari, per la propria economia. È una situazione a cui le persone non sono abituate, che ha e che avrà delle conseguenze che scopriremo tutti insieme.
Io resto a casa, non significa smettere di vivere, né smettere di allenarsi
« In questo momento denso di comunicazioni e riflessioni, forse vale la pena fermarsi e osservare. Osservare le proprie reazioni, emozioni, pensieri. Per conoscersi meglio e imparare qualcosa di più su noi stessi e su chi vive insieme a noi », riflette Giancarlo. « Nel mio caso il confinamento significa soprattutto dover imparare a continuare la preparazione per il Vendee Globe in presenza costante dei bambini.
Non è semplice mantenere costante il livello di produttività e nello stesso tempo essere a disposizione dei bambini che, giustamente, hanno bisogno dei genitori. Per questo cerchiamo di separare le giornate: cerchiamo di dedicare ai bambini del tempo di qualità durante il giorno, per seguirli in questa nuova esperienza della scuola a casa. Cerchiamo di concentrare la sera tardi, la notte o la mattina presto, il lavoro più di concentrazione. Lasciamo al giorno attività che possono essere (spesso) interrotte, o condivise con i bambini. Penso all’allenamento fisico, il lavoro al computer fatto di sessioni che si possono interrompere e riprendere, la preparazione su temi pratici come cibo e abbigliamento… »
I diversi lavori di preparazione al Vendee Globe
Prepararsi per il Vendee Globe implica tanto lavoro alla scrivania: studio della meteorologia, dei software di navigazione, delle istruzioni e percorsi di regata. Il lavoro di organizzazione di file di verifica dei pezzi, dei file operazionali e di pianificazione: questi studi si fanno anche se “io resto a casa”.
C’è poi tutto il lavoro di “preparazione del quotidiano” a bordo: come l’alimentazione, per la quale è necessario prepararsi con largo anticipo. La selezione e scelta dell’abbigliamento, anch’esso da sperimentare per affrontare tutte le differenti condizioni climatiche che si possono incontrare in un Vendee Globe. Si può continuare a lavorare su una serie di temi che spesso rischiano di venire accantonati per privilegiare le priorità legate all’imbarcazione.
Come reinventare l’allenamento a casa
Per continuare a fare altri lavori in modalità “io resto a casa”, invece, è necessario adattarli al nuovo modus vivendi. È il caso delle riunioni con il team, gli sponsor e i collaboratori, che diventano virtuali grazie alle videoconferenze. È il caso dell’allenamento fisico quotidiano, necessario per un atleta. Così, ad esempio, le sessioni di allenamento in piscina e corsa di gruppo lasciano spazio ad allenamenti di rafforzamento muscolare. La palestra si trasferisce in garage o nel salotto di casa, con sessioni di cardio e HIIT per allenarsi sul posto o quasi.
« Ho sempre fatto molto sport ed è parte integrante della mia vita quotidiana. Anche se in questa particolare fase siamo chiusi in casa, non trascuro questo aspetto della preparazione della Vendee Globe », spiega lo skipper di Prysmian Group, che naviga assieme ai colori di Electriciens sans frontières. « Al momento, sto sostituendo le sessioni all’aperto con altre per il rafforzamento muscolare, (flessioni, addominali…), stretching e cardio-fitness, in particolare con esercizi di salto con la corda nel mio garage. »
“Mens sana in corpore sano”
Giancarlo ricorda e applica la famosa citazione della decima Satira di Juvenal: “Mens sana in corpore sano”, mente sana in corpo sano. Anche nell’antichità alcuni filosofi e studiosi avevano capito che per mantenere serena ed attiva la mente, l’esercizio fisico aiuta. Questo non vale solo per gli atleti che si preparano ad una sfida estrema come il Vendee Globe ma per tutti.
Per questa ragione Giancarlo cura molto la sua alimentazione e anche in questo periodo di quarantena continua ad avere una dieta equilibrata come sempre. La dieta è un fattore strategico nella vita di ogni atleta professionista e svolge un ovvio ruolo nel miglioramento delle prestazioni.
Di questo Giancarlo è pienamente consapevole e da tempo presta attenzione alla sua alimentazione, adattandola in base al tipo di allenamento fisico che fa. In navigazione, l’alimentazione cambia: deve essere composta da nutrienti specifici e assunta, quasi come una medicina, al momento opportuno. È importante mantenere la giusta idratazione e l’assunzione adeguata di sali minerali nell’arco di tutta la giornata per compensare gli sforzi.
In questo periodo di confinamento, Giancarlo continua a mantenere una dieta equilibrata, adattandola alla tipologia di allenamento che riesce a fare.
Una dieta equilibrata
« Abitualmente, mangio molta frutta e verdura, che mi forniscono vitamine e minerali e un apporto naturale di acqua per favorire la reidratazione. Al mattino, a colazione, preparo frullati a base di latte vegetale (riso o mandorla, in genere), con frutta e un po’ di miele. Per pranzo e cena, prediligo le verdure crude o cotte e per integrare le proteine, mangio uova e pesce in abbondanza. Nella mia dieta abituale ho sempre mangiato poca carne e tendo a mangiarne sempre meno. Durante questo periodo di quarantena, assumo come integratore supplementare solo la vitamina C, per aiutare il mio sistema immunitario, ma non cambio le mie abitudini », racconta Giancarlo.
Su questi temi, sul continuare a vivere ed allenarsi anche durante la quarantena, Giancarlo è stato intervistato da Fabio Colivicchi del portale Saily. Nella video intervista “Pedote: Il lockdown del navigatore”, Giancarlo spiega il suo modo di allenarsi a casa in questo momento e restare concentrato sul suo obiettivo Vendee Globe.
L’intervista di Saily.it
Dove ti trovi ad affrontare la quarantena e con quale spirito lo stai facendo?
« Mi trovo a Lorient, a casa mia e il mio spirito è attualmente di pura osservazione. Senza particolare giudizio verso questa situazione. Non ce la siamo cercata, ma oggi è una realtà e come tutte le realtà vanno affrontate. Capisco la gravità della situazione ma riesco a relativizzare: non ci viene chiesto di andare a fare la guerra come è toccato ai nostri nonni. Parlo dei ragazzi della mia generazione, classe 1975. Credo che in fin dei conti restare nella propria casa al riparo in un momento in cui gran parte dell’umanità soffre e tanti sono in pericolo non sia una sfida impossibile. »
Come passi il tempo in questi giorni?
« Le mie giornate in questo periodo sono oltre modo piene forse più piene di quanto lo sono abitualmente nella mia vita normale. Il mio obiettivo resta sempre quello della partenza l’8 novembre per il Vendee Globe: il count down non si è fermato!
Chiaramente in questo momento l’attività è rallentata, mi trovo con i miei due figli, cinque e sei anni, a casa. Naturalmente hanno bisogno del tempo e della disponibilità del loro papà sia per giocare sia per fare i compiti. Cerco di lavorare la notte per recuperare tutto ciò che non riesco a fare di giorno. Allenarsi a casa non è sempre facile, ma in garage continuo gli esercizi che prima facevo all’aperto o in gruppo.
Come ti mantieni vicino alla vela?
Mi sto concentrando sull’organizzazione da fare a terra per poter partire per una regata come il Vendee Globe. Ad esempio a livello di tutti i materiali di rispetto da portare in una regata di questo tipo, senza scalo. Organizzare tutta la cambusa, avere le idee chiare, stilare una lista che sia la più specifica possibile in termini di gusti e di calorie. In modo poi da trasferire questo file a qualcuno del mio team che si occuperà di acquistare i prodotti. C’è da selezionare tutti i vestiti in termini di base layer, mid layer, cerate, da verificare con il mio sponsor tecnico Helly Hansen. Stiamo cercando di avanzare con la lista e guadagnare tempo per non porsi queste domande a pochi mesi dalla partenza.
In più mi sto concentrando moltissimo sullo studio della meteorologia, sulle analisi delle rotte fatte dai precedenti concorrenti del Vendee Globe. Quindi cerco di catalogare le situazioni tipiche che si possono incontrare durante tutto il percorso della regata. Sto elaborando dei quadri predefiniti su eventuali passaggi depressionari, ad esempio di depressioni che scendono dall’Australia o di fronti freddi che statisticamente sono presenti al largo dell’Argentina. Reperisco tutti i casi più classici da un punto di vista meteorologico che si possono incontrare durante il percorso. Su questa base elaboro delle risposte per adottare la strategia migliore in base al quadro meteo al momento del Vendee Globe. »
Quali riflessioni ti suscita questa esperienza?
« Questa esperienza mi suscita sensazioni simili a quando vivo delle regate in solitaria perché chiaramente noi navigatori siamo confinati su una barca. I mezzi di comunicazione sono pochi e lo spazio del confinamento è molto più ristretto in barca che in una casa. Un fattore importante anche al Vendee Globe è la gestione del sonno: spesso non si hanno ritmi regolari e le ore di riposo sono poche. La scomodità di questo genere di barche crea difficoltà in tutte le abitudini quotidiane come consumare un pasto caldo o farsi una doccia.
Quindi direi che questo momento di confinamento lo vivo senza particolari difficoltà perché è molto più leggero di quello a cui sono abituato normalmente. Fondamentalmente resto molto concentrato sui miei obiettivi, scadenze e programmi perché voglio ripartire in assoluto sprint e vigore quando tutto questo sarà finito. Per il resto lo vivo questo periodo indefinito godendo della presenza dei miei figli e di mia moglie, senza perdere mai la concentrazione. »
L’importanza del pensiero positivo
« L’altra sera ho fatto una riunione in video call con il mio preparatore mentale e il mio chinesiologo, con i quali sono anche amico. Abbiamo parlato di questa pandemia, della necessità di proteggere se stessi e gli altri con rispetto, buon senso, sistemi semplici e naturali per stimolare le proprie difese immunitarie.
Soprattutto abbiamo parlato dell’importanza di mantenere un pensiero positivo, di combattere sia l‘indifferenza sia il panico. In questo momento di confinamento, il nostro stato d’animo non cambierà la realtà delle cose, non influenzerà il decorso della pandemia. L’unica cosa da fare è cercare di essere d’aiuto e mantenere le nostre menti positive come faccio io concentrandomi sul mio progetto Vendee Globe. »
A casa abbiamo fatto un cartello di divieto di entrare, e lo abbiamo messo nella porta di uscita, con uno smiley perché non è un divieto cattivo: è un divieto che fa bene a noi stessi e al mondo. Un divieto #4PEOPLE».
Affrontare una depressione
« A volte penso che vivere una pandemia sia come affrontare una depressione in una semplice traversata o al Vendee Globe. All’inizio rinforza il vento e il mare si ingrossa, il cielo si copre e la pioggia è battente. La barca viene sferzata da onde importanti e sai che inizia un momento duro. Diventa sempre più difficile svolgere tutte le azioni quotidiane più normali, come farsi da mangiare e dormire.
Poi arriva il momento in cui ci navighi contro, in cui la incontri in tutta la sua forza. Sei completamente concentrato nel momento presente, spendi tutta l’energia per tenere in sicurezza la barca e non sai quanto durerà. La barca rolla e beccheggia sempre più forte, tu ti bagni in continuazione a causa di pioggia e onde.
È il momento in cui dobbiamo metterci in modalità casco e visiera, guanti e mascherina, e cercare di tenere duro il più possibile. Sappiamo che presto attraverseremo il centro depressionario, quindi il fronte freddo normalmente associato e a questo seguirà la coda della depressione. »
Resistere per uscirne più forti
« Si capisce che tutto sta per finire, che poi il vento calerà pian piano, la pioggia smetterà, la barca riprenderà un’andatura tranquilla. Il sole caldo asciugherà i vestiti e le ossa del corpo intirizzito, potrai di nuovo mangiare pasti completi e riposare veramente. Allora si apprezzano tutti i piaceri semplici delle azioni normali quotidiane, la bellezza della natura e ci si sente più forti e consapevoli. Si sa di aver passato la depressione, di aver vissuto tutta l’esperienza, di aver sofferto, faticato ma di avercela fatta.
Spero che dopo la pandemia anche le persone riusciranno a far tesoro di questa difficile esperienza e ad apprezzare le cose importanti della vita. Questo è il mio augurio per l’umanità. Speriamo che questa situazione si risolva, reagendo per quanto possiamo in maniera propositiva: cerchiamo di aiutare medici, infermieri, farmacisti. Rispettiamo le regole, mantenendoci sempre positivi, tutti uniti come un team, così quando usciremo dal sistema depressionario, potremo ritornare a navigare più forti di prima. Che sia per il Vendee Globe 2020 o per il Vendee Globe che è la vita di ognuno di noi. Intanto Io resto a casa e mi preparo. »
Approfondimenti
Fabio Colivicchi è direttore e editore di Saily.it. Laureato in Giurisprudenza con una tesi sugli Interessi Collettivi nel Diritto Amministrativo. Da 35 anni nel mondo della vela come regatante, istruttore, giornalista, imprenditore, dirigente. Fondatore del mensile Fare Vela, per 16 anni responsabile della comunicazione FIV, ideatore e organizzatore del Vela Show di Viareggio, fondatore e direttore del media globale e web TV Saily.it. Conduttore e telecronista. Consulente del programma di Rai Uno Lineablu. Autore di tre libri (sul Moro di Venezia e su Luna Rossa) e della voce «Vela» per l’Enciclopedia Treccani.
Saily.it è nato nel 2010 (dieci anni nel 2020!) come primo media globale dedicato al mondo della vela: magazine, TV, social. In questi anni di grande trasformazione del mondo dell’informazione, da “nativo digitale” si è ritagliato uno spazio di riferimento ed è oggi leader per audience e autorevolezza nella comunicazione velica.
Il mio pensiero va alle persone malate che soffrono fisicamente. A chi è in ospedale, isolato, pensando ai suoi cari a casa con il dubbio di rivederli. A chi è malato e chiuso in casa da solo, o con la sua famiglia temendo di contagiarla.
Il mio pensiero va alle persone che rischiano per aiutare le persone che soffrono fisicamente. Ai medici impegnati al fronte e a tutti coloro che, lavorando nella sanità, rischiano la propria vita. Al medico di base che torna a casa alle 22 dopo aver visitato 70 pazienti ed ha terrore di abbracciare sua moglie e i suoi figli; a chi lavora in farmacia e incontra 100 pazienti al giorno, terrorizzati dai possibili contagi da virus… Penso agli infermieri, a tutto il personale medico e paramedico che in questo momento è mobilitato per salvare delle vite.
Penso alle persone che rischiano a causa di coloro che non rispettano le regole: penso ai corpi di polizia e all’esercito, che devono controllare le persone che, per un motivo o per un altro, in questo momento non restano a casa.
Il mio pensiero va a tutte le persone che in questo momento non rischiano la vita, ma hanno grandi preoccupazioni che gli impediscono di dormire la notte. Perché si sentono responsabili dei dipendenti che devono lasciare a casa, impossibilitati a svolgere il proprio lavoro, e perché temono che se questa situazione durerà troppo a lungo, non sapranno come pagare gli stipendi. Penso al capo dell’azienda di migliaia di dipendenti piuttosto che a chi ha dovuto chiudere il proprio bar, ristorante, il piccolo negozio o una piccola società.
A tutte le persone costrette a fermare la propria attività pur avendo spese da pagare tutti i mesi. Ma anche a quelle che fanno attività che non hanno spese, ma che sono la loro fonte di sostentamento: chi si occupa degli aiuti domestici e non può più lavorare perché i loro clienti hanno paura di essere infettati. Persone che spesso non hanno grossi risparmi sui quali contare in periodi come questi.
Penso a tutte queste persone, che prima di addormentarsi soffrono, si girano nel letto e non riescono a trovare il sonno perché sono molto preoccupate dalla situazione.
Sicuramente non ho citato molti casi, ma il mio pensiero va a tutti coloro che soffrono, fisicamente, emotivamente o psicologicamente.
Si tratta di una crisi. Siamo in un momento di crisi mondiale, che si riflette nella vita di ognuno. Siamo in una situazione di crisi che non era stata immaginata o prevista, a cui probabilmente ben pochi avevano preventivato una reazione. Io non ho esperienza di questo. Quasi nessuno di noi ce l’ha. Ma sono preoccupato per tutta questa sofferenza e mi chiedo: io cosa posso fare?
Noi, che non siamo medici, non possiamo aiutare in maniera dirette queste persone. Quello che possiamo fare per aiutarle è cercare di limitarsi, di autocensurarsi il più possibile per evitare la propagazione del virus. È per questo che Io resto a casa.
Credo che in questo momento, la cosa più importante sia quella di cercare di mantenere la calma, e prendere coscienza della situazione. È inutile nascondersi, non porta a niente di buono ignorare la situazione. In barca se abbiamo un problema dobbiamo risolverlo subito o le cose precipitano in fretta, o si è capaci di affrontare le cose di petto o si affonda.
In questa situazione non è il momento di puntare il dito sull’altro, bisogna pensare di dare il 100% di noi stessi. È il miglior modo per dare l’esempio agli altri e convincere gli altri a fare la stessa cosa. Dare il 100% di sé e basta.
Dobbiamo fare uno sforzo collettivo e smetterla di parlare male degli altri, il modo migliore per convincere è l’esempio.
Utilizziamo le nostre energie in maniera costruttiva: cerchiamo di essere tutti di aiuto per mantenere le nostre menti positive. Quindi restare uniti, restare forti, ritrovare il piacere delle cose semplici: leggere un libro, raccontarsi delle storie, richiamare degli amici di cui abbiamo perso i contatti per sapere come stanno. Non per chiedere un favore, ma per fare due chiacchiere, per condividere e creare legami più forti. Potremo cercare di fare l’esercizio di trovare tutti i giorni almeno tre punti positivi della giornata per cui è valsa la pena di essere rimasti in casa.
Sicuramente le preoccupazioni sono tante, ma girarsi nel letto sentendosi impotenti non ci aiuterà ad uscire dalla situazione. Viceversa, avere un atteggiamento positivo permette al nostro sistema immunitario di mantenersi alto e efficace. Fa star meglio noi stessi, chi vive con noi, ed è una maniera di aiutare la società: mantenere e trasmettere questa positività alle persone che in certi momenti possono vedere le cose più scure di noi, aiuta tutti.
Gli uccelli continuano a cantare tutte le mattine, il mondo guarirà. Io ci credo.
Il Vendee Globe è considerato l’Everest del Mare, e non a caso. Navigare da soli in barca a vela per settimane, richiede molto più di una normale navigazione. Per poterlo fare è necessario imparare a gestire stanchezza, paura, abitudini alimentari, concentrazione e difficoltà che possono sorgere. Soprattutto richiede sapere come affrontare l’incertezza, il non previsto.
L’articolo che segue, è stato pubblicato sul sito PrysmianOceanRacing, il sito del progetto Vendee Globe di Prysmian Group e Electriciens sans frontiéres. Si tratta di una panoramica fatta insieme a Giancarlo sui seguenti argomenti relazionati alla preparazione per il Vendee Globe:
rischio
solitudine
forza mentale
concentrazione
riposo
pericoli
sonno
spirito di adattamento
nutrizione.
Tutti gli atleti d’élite, gli sportivi di alto livello, si preparano con attenzione, fisicamente e mentalmente, alla ricerca del continuo miglioramento delle proprie performance. Coloro che praticano sport estremi devono fare di più, devono considerare che saranno esposti a situazioni imprevedibili e devono essere pronti a qualsiasi eventualità. Gli skipper che partecipano al Vendee Globe, il giro del mondo in solitario, sono costretti a spingersi ancora oltre. Oltre alla resistenza fisica, allo stress mentale e alla possibilità di dover affrontare un numero illimitato di imprevisti. Devono superare una sfida in più, e cioè restare da soli su una barca a vela, in mezzo al mare, per molte settimane. Senza possibilità di scalo in caso di problemi e senza possibilità di ricevere assistenza se non telefonica durante l’intera circumnavigazione.
Abbiamo parlato di questo con Giancarlo, quinto navigatore solitario italiano nella storia della Vendee Globe che tenterà l’impresa a bordo dell’IMOCA Prysmian Group.
Che cosa spinge un atleta ad affrontare una sfida tanto estrema quale il giro del mondo in solitario?
Credo che essere disposto ad affrontare rischi tanto estremi sia il risultato della condotta di tutta una vita. È qualcosa che ti vibra dentro da quando sei bambino e che non puoi fare a meno di seguire. Si tratta di superare i propri limiti, vedere le cose da una prospettiva diversa. Mettere alla prova te stesso in sempre nuovi contesti nel lavoro come nella vita di tutti i giorni. È quasi una necessità che spinge ad affrontare sfide sempre più difficili e impegnative. Nel mio lavoro ho proceduto così, aumentando via via la difficoltà delle prove e abbandonando le situazioni diventate ormai familiari.
Fare il giro del mondo in solitario implica una serie di rischi notevoli. Come affronti questo pensiero?
Come navigatore, non penso ai rischi in maniera emotiva, ma tendo ad analizzarli in modo asettico, come se riguardassero qualcun altro. Per questo riesco ad affrontarli razionalmente e a non farmi bloccare da essi, come altrimenti potrebbe succedere. Ogni giorno corriamo dei rischi, ma non ci facciamo bloccare da essi perché li abbiamo razionalizzati e prendiamo precauzioni adeguate. È un po’ quello che accade quando qualcuno che vuole fare un giro in moto, indossa il casco, utilizza una protezione. Se pensasse in forma emotiva, concentrerebbe le sue energie a immaginare i rischi che corre, quali la possibilità di avere un incidente stradale.
Credo che i rischi che si corrono in questo sport non siano molto diversi da quelli che si possono incontrare nella vita quotidiana. Prendo semplicemente, con attenzione ma tranquillità, tutte le precauzioni necessarie affinché le cose possano andare bene. Lo faccio ogni giorno, per me non cambia che si tratti del Vendee Globe o della sicurezza all’interno della mia casa.
Qualche volta pensi ai pericoli che stai correndo?
Sono consapevole dei pericoli che corro, me cerco di non lasciare che la paura mi invada. Cerco di fare in modo che sia la ragione a guidare i miei pensieri e le mie azioni, come se stessi giocando a scacchi. Se mi lasciassi prendere dalle emozioni e se lasciassi crescere la paura di pericoli, reali o immaginari, non potrei concentrarmi sulla navigazione. Non potrei partire per un Vendee Globe, perché navigare in solitario richiede, come detto, forza mentale e concentrazione.
Navigare in barca a vela da soli, non porta a soffrire di solitudine?
La solitudine in realtà è uno stato mentale che mi aiuta a guardarmi dentro, a entrare in contatto con me stesso. Vivo la solitudine come un’opportunità, non come un limite, perché mi permette di riflettere su tutto ciò che ho raggiunto nella vita. Mi permette di pensare alla mia famiglia e ai miei amici in maniera più profonda, lontano dalla routine, che spesso ci impedisce una riflessione approfondita. Non soffro la solitudine, ma la utilizzo per conoscere meglio me stesso. Credo che questa sia una caratteristica che non appartiene a tutti: coloro ai quali non piace stare soli, devono risolvere questo tema prima di affrontare una navigazione in solitario. Sia che si tratti del Vendee Globe, sia che si tratti di un semplice trasferimento.
Quanto è importante la forza mentale?
La forza mentale è essenziale perché durante la navigazione ci sono sempre degli imprevisti che rompono i nostri schemi. Per questo è così importante sviluppare la capacità di adattarsi a nuove situazioni. Il primo passo per sviluppare la capacità di adattamento, è accettare che esistono degli imprevisti. Un imprevisto è qualcosa che non vorremmo accadesse, qualcosa che infrange la nostra visione di come dovrebbero andare le cose. A volte è qualcosa che non abbiamo previsto, nonostante tutto il nostro impegno per prepararci a qualsiasi evento.
La forza mentale, quella stabilità emotiva che permette alla razionalità di esprimersi, ci permette di avere la giusta reazione difronte agli imprevisti. Senza ansia, senza panico, senza disperazione, fluendo e adattandosi agli avvenimenti come un fiume si adatta alle rocce che trova nel suo cammino. Quando una persona riesce ad adattarsi facilmente alle circostanze, può finalmente godere del momento che sta vivendo. Questo è uno dei miei obiettivi per il Vendee Globe.
Il Vendee Globe, richiede molte settimane di navigazione: come riuscirai a rimanere concentrato?
Sono sempre concentrato, mantenere la concentrazione fa parte del mio quotidiano. Indipendentemente da dove mi trovo, che sia in mare aperto o a terra, sono concentrato, circa quattordici ore al giorno. Certamente è importante anche staccare la spina, rilassarsi fisicamente e mentalmente. Giocare con i bambini, parlare con gli amici, guardare un film. Sono cose che fanno bene per interrompere la concentrazione e rilasciare i pensieri alleggerendo la mente. La concentrazione è l’attitudine naturale che ho nei confronti della vita, un’abitudine che lascio vivere a pieno durante le regate, quando non posso permettermi distrazioni.
Durante una regata, soprattutto in solitario, ci sono momenti di riposo?
Quando il vento cala e la barca avanza lentamente, posso rilassarmi un po’, anche se proprio allora è necessario verificare che tutto sia a posto. Il livello di attenzione può variare da un 100% a un 60%, ma non potrà mai essere zero, altrimenti i rischi sarebbero troppo alti. Durante una competizione quale il Vendee Globe è necessario, anzi fondamentale, concedersi momenti di riposo.
Riesci a dormire sufficientemente durante la navigazione?
No, nessun navigatore solitario riesce a dormire sufficientemente durante la navigazione. Personalmente non riesco a rilassarmi, soprattutto perché è molto difficile rilasciare i muscoli nella posizione in cui è possibile dormire. Anche i ritmi del sonno, ovviamente, hanno la loro influenza sull’esito di riposare bene. Siamo abituati ad un sonno monofasico, composto da una sola fase per cui ci addormentiamo la sera e ci risvegliamo al mattino. La navigazione in solitario, invece, richiede un modello di sonno polifasico, che significa dormire poco il più spesso possibile.
Durante una regata in solitario si possono fare brevi sonnellini di 10, 15 minuti, fino a sonni di due ore, come fanno molti animali. Anche se usiamo il pilota automatico, senza il quale non sarebbe possibile navigare, dobbiamo controllare continuamente l’imbarcazione e il mare. Gli strumenti, purtroppo, non sono sufficienti a scansare tutti i pericoli. Inoltre sonni più lunghi potrebbero impedire di seguire la giusta strategia di regata. Sono ormai anni che durante le competizioni dormo con un sonno polifasico, e ho preso l’abitudine di passare dall’uno all’altro. Certo, quando rientro a terra mi si vuole del tempo per tornare alla normalità, ma fa parte del mio lavoro.
Questo modo di riposare, influisce sulla tua capacità mentale?
Meno dormi, più sei vulnerabile dal punto di vista emotivo e questo si traduce in una razionalità più fragile e meno solida. È importante cercare di riposare bene il più possibile, e saper identificare il momento in cui la mancanza di sonno inizia a influenzare la razionalità. Ascoltare le proprie emozioni, la propria mente e il proprio corpo è fondamentale.
Una barca a vela come l’Imoca è una macchina molto esigente. Come lavora un navigatore solitario per affrontare le difficoltà che può incontrare?
È un lavoro che necessita anni ed anni di preparazione, perché comporta imparare a conoscere le basi di tutto ciò che riguarda la barca. Bisogna essere preparati su elettricità, elettronica, informatica ed energia perché è necessario essere pronti a riparare del carbonio o qualsiasi parte meccanica. Ogni volta che smontiamo e rimontiamo dei pezzi dell’imbarcazione, osservo con attenzione, immaginando come potrei riparare ciascun pezzo in caso di rottura. Nel 2013, ad esempio, il mio Mini 6.50 subì una rottura del bompresso che riuscii a riparare grazie all’esperienza fatta in cantiere utilizzando quei materiali.
Navigo in solitario da oltre 10 anni, ed ho avuto l’opportunità di approfondire argomenti diversi. Ho trascorso molto tempo in cantiere e ho imparato molto dai professionisti che nel tempo mi hanno seguito e aiutato. Adesso posso dire di aver acquisito un certo grado di conoscenza che mi dà la possibilità di poter risolvere una serie di possibili problemi. Se sei in mezzo all’oceano, in regata, e non sai come riparare qualcosa che si è rotto, la tua corsa è finita. Durante il Vendee Globe avrò il team a terra pronto a darmi consigli via satellitare, ma sarò io a dover aggiustare ogni eventuale rottura.
Che tipo di attività fisica puoi fare durante la navigazione?
Lo spazio vivibile sull’imbarcazione è veramente ridotto e non c’è possibilità di fare grandi movimenti, a meno di non andare a prua a mare calmo. All’interno dell’imbarcazione c’è uno spazio nel quale posso distendermi, stare in piedi o seduto, ma è scomodo. E in nessuno di questi luoghi si arriva a poter fare della vera ginnastica. In realtà l’unico tipo di attività fisica che si può fare è un po’ di stretching. Che fa bene, visti i movimenti ripetitivi e faticosi che ogni manovra richiede.
Quanta energia richiede la navigazione?
Molta energia, fino a 4000 calorie al giorno nel Grande Sud, dove oltre a sostenere gli sforzi è necessario contrastare il freddo. E’ necessario alimentarsi bene e correttamente, per avere l’energia necessaria ad affrontare la navigazione.
Gli spazi sicuri dell’IMOCA sono molto limitati. Cosa mangi e come lo cucini?
Mangio piatti a base di cibo disidratato e cibo sottovuoto. La conservazione degli alimenti è il problema più grande, visto che non abbiamo frigoriferi e la barca arriva ad avere alte temperature. Durante l’anno, in fase di preparazione, studio con attenzione quali alimenti portare con me una volta salpato. Li provo simulando condizioni simili a quelle che si hanno sulla barca, con pochi strumenti, pochi mezzi e poco tempo. Olio extravergine di oliva e cibi il più possibile naturali già pronti o da utilizzare per creare qualcosa di estemporaneo. Cerco di mantenere in navigazione un’alimentazione simile a quella alla quale sono abituato, giocando con la fantasia e cercando di variare il più possibile.
Quando sono in navigazione per cucinare posso utilizzare l’acqua del mare, che depuro grazie al dissalatore con il quale elimino anche il sale. Con questa acqua scaldata posso reidratare i liofilizzati o cuocere alimenti a cottura rapida. Cerco anche di portare cibo preparato e messo sottovuoto, anche se ha lo svantaggio di pesare di più. In navigazione il peso che trasportiamo conta, ma nel Vendee Globe dovrò utilizzare cibo sottovuoto, per variare e prendermi cura di me stesso.
Sapere come decidere a volte è molto difficile, sia che si parli di una scelta che riguarda il lavoro, sia che si parli di una scelta che riguarda la vita di tutti i giorni. Diventa però un’arte quando si tratta di decidere sostenendo la pressione della responsabilità, dell’urgenza e della ricerca di un risultato. Giancarlo, nel suo lavoro di management di un progetto Vendee Globe, affronta questo tipo di pressione ogni giorno: pressione generata dalla necessità di preprare al meglio la sua barca a vela, di gestire al meglio il suo team e di cercare, sempre, di migliorare.
Ma è soprattutto durante le regate che si trova ad affrontare il livello massimo di pressione.
Durante la Bermudes 1000 Race 2019 Giancarlo ha dovuto prendere decisioni importanti. Soprattutto quella di tuffarsi in mare senza che nessuno controllasse l’imbarcazione mentre lui liberava la chiglia. Una decisione che doveva essere presa sul momento sotto la pressione del risultato, delle responsabilità e con la paura del pericolo.
A posteriori Giancarlo riflette su quella scelta, su quel momento, e ci accompagna a comprendere meglio come decidere sotto pressione. Ecco cosa ne pensa. “Ero lì, con le pinne ai piedi, con la maschera da sub già sul viso e il coltello in mano. Guardando il mare, sentendo che la paura invadeva tutto il mio corpo e mi chiedeva di restare in barca. Nello stesso tempo percepivo dentro me il forte senso di responsabilità nei confronti di questo progetto e la determinazione a portarlo a termine. E, pensando soprattutto a Prysmian Group, alla fine ho saltato.”
La prima regata alla quale Giancarlo Pedote ha partecipato in qualità di skipper in classe IMOCA è stata la Bermudes 1000 Race. Una regata molto importante, perchè valevole per la qualificazione al Vendee Globe, ma non solo. Partita l’8 maggio da Douarnenez, la Bermudes 1000 Race 2019 è stata anche la sua prima prova in solitario su un 60 piedi.
Chi ha seguito la prova ricorderà lo spiacevole imprevisto delle prime fasi della competizione. Uno di quei tranelli nei quali ci si può imbattere in navigazione e che minacciava di compromettere la prova. La rete di un pescatore si era incastrata nella chiglia della sua “barchetta”. Dopo aver tentato inutilmente una marcia indietro a vela per liberare la chiglia, Giancarlo si è trovato davanti ad una scelta. Il come decidere si è rivelato fondamentale: dopo aver guardato il mare e aver visto il volto della paura, si è tuffato.
Come decidere conservando la calma
Saltare in acqua comportava un rischio molto grande, ma era l’unica via d’uscita da quella situazione per continuare la regata. Giancarlo in quel momento ha deciso di zittire le voci della sua paura e correre il rischio. Si è lanciato in acqua, ha tagliato la rete da pesca ed è risalito sulla sua barca. Era stata una battaglia, ma l’avevano vinta la determinazione e l’eccellente capacità di mantenere la calma nei momenti difficili. La forza mentale è una delle caratteristiche più preziose per uno sportivo d’élite, un buon manager o un grande leader. Permette di andare avanti nonostante le difficoltà e prendere decisioni concentrandosi solo su ciò che è realmente importante. Ripensando a quel momento, Giancarlo spiega le sue sensazioni e, quindi, come decidere in momenti di crisi. “La mente entra in uno stato di completa concentrazione, in cui i sensi sono focalizzati su ciò che si sta facendo. In situazioni come questa esistono solamente due realtà: quello che devi fare, e te stesso. Si entra in uno stato di sopravvivenza, ti senti come un uomo primitivo che deve affrontare una fiera armato solo di un coltello. Hai solo un’opportunità per sopravvivere e non puoi lasciartela scappare”.
Un complesso mix di calma, esperienza ed intuizione
Questa capacità di mantenere la calma nei momenti difficili non è, secondo lo skipper di Prysmian Group, questione di carattere. È un’abilità che si allena e che, con l’esperienza positiva dei risultati, si rafforza. In questo Giancarlo dà ragione ai filosofi che sin dai tempi di Platone definivano il processo decisionale una lotta tra ragione ed emozione. Così come il maratoneta ignora il dolore o il giocatore le grida di uno stadio, lo skipper ignora le sue paure in favore della ragione. Vale a dire, in questo caso, a favore del suo senso di responsabilità.
È una delle formule che noi esseri umani usiamo per scegliere, ma non è l’unica.
L’essere umano ha speculato sulla sua attività mentale per secoli, ma solo da pochi anni ha iniziato a comprendere come funziona il cervello. Grazie ad innovative tecniche di studio, la neuroscienza sta scoprendo che nel processo del “come decidere” entrano in gioco diversi fattori. Le emozioni, la ragione e l’istinto sono alcuni di essi. I sentimenti che si provano possono offuscare la ragione e impedire di prendere in considerazione informazioni a volte importanti. Dal lato opposto seguire solo la ragione può impedire di dare ascolto ai propri istinti, che a volte suggeriscono soluzioni interessanti.
La coscienza e le conoscenze immagazzinate inconsciamente lavorano dentro di noi per confonderci o per permetterci di trovare la soluzione migliore possibile.
Come decidere grazie all’esperienza
Dopo aver liberato la chiglia dell’IMOCA Prysmian Group dalla rete, Giancarlo ha potuto continuare la sua prova. Il tempo necessario a fermare la barca a vela, tuffarsi, tagliare la rete, rimontare a bordo e far ripartire l’imbarcazione era stato notevole. Giancarlo era precipitato agli ultimi posti in classifica, e doveva confrontarsi con una nuova situazione di stress. Aveva bisogno di trovare una strategia in grado di fargli recuperare posizioni in poco tempo, visto che il percorso della regata era solo 2000 miglia. Ma come si elabora una strategia vincente, quando il vento e il mare sono gli stessi per tutti e le barche e gli strumenti di navigazione sono simili?
Per scegliere la rotta ed elaborare una strategia di regata, Giancarlo usa i calcoli del suo computer, esegue simulazioni del percorso e interpreta file meteorologici. Mette a frutto la sua decennale esperienza di navigatore solitario e le ore di studio passate al computer e sui libri di meteorologia. Grazie a questi bagagli di esperienza cerca di capire, a volte intuire, quali delle rotte possibili potranno condurlo al suo obiettivo. Nonostante si tratti di un processo profondamente razionale, Giancarlo riconosce che utilizza una percentuale di istinto nautico formatosi in lui grazie all’esperienza. Riconosce che esiste un momento in cui qualcosa dentro di lui gli dice che, tra tutte le opzioni possibili, ce n’è una che può funzionare… E così è stato per la Bermudes 1000 Race, quando esperienza, studi e calcoli lo hanno portato a rimontare fino a salire sul terzo gradino del podio.
Esperienza, studi e calcoli
Nel libro di Jonah Lehrer “Come decidiamo”, il divulgatore analizza in dettaglio i diversi meccanismi cerebrali coinvolti nel processo decisionale. Uno dei meccanismi che definisce odore, istinto o intuizione, aiuta ad esempio un regista a decidere quale attore si adatterà perfettamente ad un determinato ruolo. Aiuta un creativo a scegliere una metafora visiva o un direttore editoriale a capire se un romanzo piacerà tanto da diventare un best-seller. Nessuna di queste persone sa come ha preso le sue decisioni. Raramente sanno spiegare perché lo hanno fatto, ma sanno che non sbaglieranno.
Ciò che associamo a una conoscenza interiore deriva da ciò che alcune regioni non coscienti del cervello hanno immagazzinato. Per vari anni si matura un’esperienza, si commettono errori durante la pratica professionale o si dedicano molte ore all’analisi di un ambiente specifico. Il cervello stesso inconsciamente scopre modelli di successo e aiuta la parte cosciente a scegliere. Come per Giancarlo “esperienza, studi e calcoli” sono stati gli elementi direttamente coinvolti nell’elaborazione della sua strategia.
Come decidere sotto pressione anticipando gli eventi
Come scegliere in momenti di stress è qualcosa con cui Giancarlo si confronta spesso. Una regata in solitario, specialmente la prima in una nuova classe di barche a vela, la classe del Vendee Globe, è un momento di stress. Un momento in cui la pressione delle responsabilità si fa sentire. In questi casi l’esperienza è qualcosa che può aiutare, perchè aumenta l’intuizione, se le viene lasciato il giusto spazio. “È necessario fare molti errori, per conoscere una barca a vela, riuscire a sentirla e capire i suoi bisogni. La barca sempre ti chiede, e tu devi occuparti di tutte le sue esigenze, come un bambino che ti chiede per andare più veloce ”. Per giungere al risultato di sentire davvero una barca a vela, di fondersi con essa per comprenderne i bisogni, è necessario molto allenamento. Ore passate insieme in mare e prove continue che permettono allo skipper di conoscere attraverso i sensi. Con il tatto, grazie alla tensione più o meno forte di una cima. Con l’udito, attraverso un rumore specifico che segnala cosa sta succedendo sulla sua barca.
È grazie a questo tipo di fusione che diventa possibile anticipare gli eventi, in mare come negli affari o nella vita di tutti i giorni. Conoscere per essere in grado di anticipare, lasciando spazio all’intuizione. Questa, per Giancarlo Pedote, è la giusta risposta alla domanda: “come decidere sotto pressione?”.
Approfondimenti
La Bermuda 1000 Race è una regata in solitario riservata all’IMOCA, inclusa nel programma del campionato Globe Series 2018-2021. Valevole per la qualificazione per il leggendario Vendée Globe, si svolge in un percorso di 2000 miglia che parte della baia di Douarnenez e arriva a Brest. Nel percorso, sono previsti un giro intorno al Fastnet (sotto l’Irlanda) e un passaggio attorno alle Azzorre.
Ecco la cartina che marca il percorso della regata:
Con la sua partecipazione e una rimonta rimarcabile, Giancarlo ha dimostrato che la calma e l’intuizione possono convivere nel processo decisionale e nel come decidere in momenti di stress derivanti dalla paura o dalla necessità di non mollare in una situazione avversa. La calma e l’intuizione nel suo caso derivano entrambi dall’esperienza, che riunisce quindi razionalità e sensazioni.
Per avere maggiori notizie in merito alla Bermudes 1000 Race e alla partecipazione di Giancarlo a questa regata:
Forte di due precedenti partecipazioni, la prima delle quali terminata con la vittoria in Multi50 nel 2015, Giancarlo Pedote si prepara a prendere il via della famosa Transat Jacques Vabre per la terza volta. Con un notevole cambiamento: questa volta sarà lui lo skipper.
Maggiori sono le responsabilità e la pressione, ma avendo gestito tutti i suoi progetti in prima persona, sin dal suo debutto sul circuito Mini 6.50 nel 2012, ha imparato a trasformare lo stress in energia positiva e le situazioni difficili in una sfida da affrontare. Ha un approccio molto determinato verso questa 14a edizione della Transat Jacques Vabre, la “Route du Café”, che porterà lui e il suo co-skipper Anthony Marchand, da Le Havre in Francia, a Salvador de Bahia in Brasile. Un test di cui conosce,
specificità e difficoltà, insidie e punti chiave. Giancarlo racconta tutto, con alcuni ricordi che vengono a galla…
Le prime due partecipazioni
“Le mie prime due partecipazionirisalgono al 2015 e al 2017, quando la regata ancora terminava a Itajaí. Nella prima ho gareggiato in Multi50 a bordo di FenêtréA-Prysmian. Abbiamo vinto dopo poco più di 16 giorni e 22 ore, finendo terzi in classifica generale dietro agli Ultimes Macif e Sodebo. Nella seconda ho corso in IMOCA a bordo di Newrest – Brioche Pasquier, finendo al 12° posto. Sebbene diverse tra loro, entrambe queste esperienze mi hanno insegnato molto. ”
I ricordi
” Ricordo che nel 2015, abbiamo faticato molto per una meteo estremamente complicata. Molte barche, nelle differenti categorie in gara, furono costrette ad abbandonare a causa delle difficili condizioni metereologiche. Abbiamo fatto praticamente quasi sempre bolina fino alle Canarie! Conservo un bel ricordo di quel periodo, non solo per le vittorie, ma anche perché è stato in quell’anno che mi si è aperto l’orizzonte del multiscafo. Anche l’edizione 2017 è stata una grande esperienza per me, perché è stata la mia prima traversata atlantica in IMOCA. Ero in modalità scoperta su una barca che non era dell’ultima generazione (era l’ex Gitana Eighty varata nel 2007 per Loïck Peyron). Purtroppo, poco dopo l’inizio della regata, lo spinnaker si ruppe e questo rappresentò un grave handicap per il proseguo della gara. Ma ho imparato molto.”
Le specificità di questa Transat Jacques Vabre
“Non se ne parla spesso, ma su un passaggio transatlantico così lungo (4350 miglia, ndr), ci sono minimo cinque sistemi meteorologici da superare: le depressioni occidentali, alle nostre latitudini; gli alisei nord-occidentali; il Pot-au-Noir; gli alisei sudorientali e un’area molto instabile e tempestosa verso la zona di arrivo. Sono tanti passaggi, e complicati. A mio avviso, molto si gioca all’inizio, tra l’uscita del Canale della Manica e il Golfo di Biscaglia. Superata la zona di convergenza intertropicale, che è sempre un po’ una lotteria, ciò che doveva rompersi si è rotto e i problemi tecnici che dovevano venire fuori, lo hanno fatto. Dopodiché, i primi in classifica normalmente restano tali…”
La difficoltà principale
” La più grande difficoltà è l’inizio: prima di prendere il via restiamo a terra per circa dieci giorni. È necessario riuscire a entrare molto rapidamente in modalità regata, soprattutto considerando che è generalmente durante i primi giorni che si stabiliscono i gruppi di imbarcazioni e le distanze tra di essi. Non è facile perché in ottobre – novembre possono esserci importanti cambiamenti di tempo e/o temperature. Fa freddo, piove, ci sono vento e onde … non è facile trovare subito il giusto ritmo.”
L’esperienza delle due precedenti partecipazioni: una risorsa. In che misura?
” Quando partecipi a una gara per la terza volta, c’è naturalmente meno stress. Conosci il percorso, i problemi che dovrai affrontare, le insidie lungo il percorso … Tuttavia si tratta di una traversata oceanica, tutt’altro che banale. Non ce ne sono mai due uguali. Ciò che cambia per me questa volta, è che assumo il ruolo di skipper e di conseguenza, la responsabilità di molte più cose. È un altro contesto e sono particolarmente centrato a fare le cose nel modo giusto. ”